Coralium o curalium, citato nelle fonti classiche per designare il “corallium rubrum” del Mediterraneo, per lungo tempo ritenuto una pianta, nella prima metà del XVIII secolo si scoprì che in realtà era costituito di animali raggruppati in colonie di individui strettamente interdipendenti che secernevano una secrezione calcarea.
Tale secrezione dà origine alle note strutture ramificate. Una leggenda narra che quando Perseo ebbe reciso il capo di Medusa, lo adagiò sulle rive del mare e con stupore osservò che dal contatto delle alghe col suo sangue già pietrificato diede vita al corallo. Sin dall’antichità ha assunto valore apotropaico e scaramantico, divenendo amuleto contro i mali, le paure e gli incubi. I primi ritrovamenti archeologici, costituiti da rametti grezzi e da alcuni appena sbozzati risalgono già al neolitico.
Per il suo valore apotropaico, il Cristianesimo ha fatto del corallo parte integrante della sua simbologia: grani di rosari, crocefissi, ostensori, ornamenti per i Santi sono divenuti oggetti privilegiati in cui il rosso ramoscello marino è simbolo del sangue di Cristo. La pesca e la lavorazione del corallo erano praticate in tutto il Mediterraneo ed da qui esportato in tutto il mondo conosciuto, utilizzando le vie per le quali in senso inverso si importavano le spezie, la seta, i profumi e le altre merci pregiate; pur giungendo da tanto lontano, il corallo si insediò solidamente nei costumi dei popoli nomadi d’oriente che, considerandolo un efficace portafortuna, lo impiegarono perfino per guarnire i propri cavalli.
A Trapani, ove i banchi corallini davano materia prima in abbondanza, l'arte della lavorazione dei coralli divenne artigianato sistematico a partire dal XV sec. quando cioè, nella Historia di Trapani del 1591, si parlò dell'attività dei "corallini e corallari trapanesi", poiché questo "bono magisterio" si era già affermato da mezzo secolo come espressione d'Arte, avendo già superato la prima fase della semplice produzione, di grani e sferette per le corone del rosario.
Vengono prodotti importanti oggetti sia sacri che profani: sculture di madonne, santi, crocefissi, scrigni, coppe, teche, vassoi, lampade, cofanetti, gioielli, paliotti, acquasantiere, ostensori, capezzali, cornici, presepi, in cui al prezioso corallo sono uniti oro, argento, rame, smalti, madreperla, lapislazzuli, perle e pietre preziose.
Torre del Greco già dal 1400 si era rivolta alla pesca del corallo ed i pescatori torresi, forti della loro esperienza secolare, si spostavano con le loro coralline fino alle coste africane. Nel ’700 divennero sempre più forti le ostilità della francese Compagnie Royale d’Afrique che ostacolava tutti i pescatori stranieri, assicurandosi il monopolio sulla pesca del corallo, finché nel 1780 le continue questioni spinsero i torresi a chiedere ai Borbone una regolamentazione della pesca del corallo, tale richiesta portò dieci anni dopo alla promulgazione del Codice Corallino. Inoltre da più parti era giunta l’osservazione della indubbia convenienza a trasferire la lavorazione del corallo lì dove era pescato, così sotto la reggenza di Tanucci, il Supremo magistrato di Commercio G.B. Jannucci auspicava in un suo trattato sulla pesca del corallo il trasferimento della lavorazione e vendita del corallo nella capitale del Regno, ma solo nel 1790 Acton approvò la fondazione della Real Compagnia del Corallo, che avrebbe assegnato ai torresi il monopolio della vendita del corallo.
Per sorte avversa la Compagnia non decollò, ma l’idea fu presto fatta propria dal marsigliese Paolo Bartolomeo Martin che nel 1805 ottenne dal re Ferdinando IV un permesso decennale, rinnovatogli poi sia da Giuseppe Napoleone che da Murat, di aprire una fabbrica a Torre del Greco.